Le lenzuola potevi cambiarle ogni dieci
o dodici giorni, non ricordo più.
Mi ricordo bene quello che dormiva nella
branda vicino alla mia. Era tranquillo, sembrava non rendersi conto di dove
fosse. Sereno e incosciente ragazzino di soli diciotto anni, io ne avevo ventuno,
pochissima differenza a casa, lì contava però. Con le guance pienotte e lo
sguardo un po’ sorpreso, smarrito che si guardava sempre intorno come a dire:
“Sta succedendo davvero?”
Quante urlate in faccia si è preso.
“Ti devi muovere!”, “Cazzo fai?”,
“Nessuno va a dormire fino a quando non ha rifatto il letto!”.
Non c’era verso che lo facesse bene, o
che lo facesse dentro i tempi permessi. Sembrava si muovesse a rallentatore.
Ormai lo sapevamo e cercavamo tutti di
aiutarlo: “Più tesa la coperta.”, “La cintura, stringila.”, “Gli anfibi, sputaci
sopra.”
Dopo due giorni il suo
sguardo ha cominciato a cambiare, via l’incredulità di un gioco stupido, la
vergogna e la mortificazione erano arrivate.
È come un disco rotto: Sveglia, sveglia,
sveglia–Cinque minuti pronti–Cazzo fai?– Piantone? Piantone? Dove cazzo sei
piantone?
Sveglia/barba/cubo/ginnastica/colazione/vestizione/bandiera/marciare/marciare/
mangia/marciare/baionetta/saluti/marciare/marciare/i gradi/saluta/giù i pantaloni/apri
la bocca/chiudi la bocca/respira/mangia/pulisci gli anfibi/pulisci la
fibbia/pulisci i cessi/pulisci i pavimenti/pulisci le pentole/pulisci i
piatti/lavati i denti/fai il letto/luci spente.
Una sera siamo in camerata già pronti
per andare a letto. Ispezione.
Tutti in piedi sull’attenti davanti alle
brande. Entra il caporale: il caporale è stronzo proprio di grado, proprio di
consegna, se sei caporale sei stronzo. Se sei caporale istruttore sei molto
stronzo.
Silenzio. Nessuno fiata, adesso ripenso
a quanto sia presente il silenzio di più di cento persone.
Camminata lenta, si ferma davanti a uno
per uno e ti guarda proprio negli occhi, la prima reazione è quella di ridergli
in faccia, ma ti passa dopo la prima ora che sei lì.
Arriva davanti a lui.
C’è puzza di sudore, la doccia puoi
farla un giorno si e uno no, e siamo a luglio. Le federe dei cuscini sono
ricoperte di aloni gialli, molti di noi hanno le vesciche ai piedi, che
puzzano.
«Tu sei quello che non ce la fa?»
Silenzio. Non puoi abbassare lo sguardo
o girarti e andare via. Non sono nemmeno vere domande, ti prendono per il culo.
«Tutti a letto, svelti. Spegnere le
luci.»
Ci guardiamo io e lui prima di infilarci
sotto le coperte, si perché sopra non ci puoi stare. Ci guardiamo e non so cosa
dire.
Tutto è scandito, tutto ha un suo
movimento e il tuo tempo è speso per imparare tutti questi movimenti.
Siamo schierati nella piazza d’armi: esercitazione
per innestare la baionetta. È un ballo: estrai-punta-innesta. Tre movimenti
tre.
Cominciamo, dobbiamo farlo tutti
insieme, tutti coordinati seguendo i comandi.
Fa un caldo di merda e io ho le orecchie
bruciate. Abbiamo tutti sete.
Urla, urla, urla.
Rifare. Rifare. Rifare…
Non ce la fa. Il caporale si mette
davanti a lui.
Il suono dovrebbe essere un unico e
pesante “clac”, ma c’è sempre una nota stonata.
«Non vi muovete fino a quando non lo
fate tutti.»
Noi lo sappiamo che siamo lì sotto il
sole perché lui non ce la fa, e siamo incazzati.
Dopo un po’ non te ne frega più niente, non
vorresti, ma cominci a pensare che è un cazzo di lento di merda. “Porca puttana
e agganciala questa cazzo di baionetta deficiente”.
Va in panico, ogni volta è sempre
peggio, ha il caporale a un metro che urla i comandi a tutta la compagnia ma ha
lo sguardo solo su di lui.
«Sei ritardato?»
Altra domanda che non aspetta risposta.
Quando torniamo distrutti e sudati in
camerata lui mi guarda di nuovo, sta per piangere, ma si trattiene.
«Io non ci riesco.»
Voglio solo farmi una doccia, uscire
dalla caserma e cagare in un cesso pulito.
«Cazzo ti devi svegliare.»
Mancavano ancora circa
trecentoquarantasei giorni.
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