E
c’era questa terrazza. Bellissima sul mare al mattino. Son tutte storie quelle
che si dicono sul tuo conto. C’è un momento, proprio
un attimo, una frazione di secondo. Mi hanno portato la lettera, sai che le
fanno passare ai raggi X prima? «Pensa che io grido aiuto quasi tutte le
notti.» Šostakovič, Dreamer. Le lenzuola potevi cambiarle ogni dieci o dodici giorni, non
ricordo più. Non mi fanno più tenere effetti personali in camera. Ha cominciato
a comprarsi cappelli da uomo. Non fare cazzate! Odio mio padre. Presuntuosa e
bellissima Margaret, vai a farti un giro con la tua rabbia insoddisfatta e
ubriacati alla mia salute, tu che puoi. “Quando è successo che sul sole ci
hanno avvolto una garza?” Ho comprato delle piantine, cioè, sono dei piccoli
cactus. Quanto gli piaceva andarsene in giro di notte per la città. Sabbia e
spine. Con il suo vestito nero che le copre i piedi, così lungo che è
inchiostro sul pavimento in una pozza che non ha confini tra lei e il
pianoforte che suona davanti a tutti loro. Hugine Bedford, detto “Dreamer”. Nella
nebbia che si alzava dal fiume s’intravedevano le luci gialle sulle facciate,
l’umidità lucidava le pietre del passaggio tra la riva e le abitazioni. Mi
dispiace per Pit. «C’è sempre un momento preciso in cui tutto ha inizio, non
crede?» «Lei è Margaret Bencroft, anni ventisei, nata a Montrose il tre agosto
dell'ottantanove?» Tutte le cose stavano al loro posto. I matti conoscono altri
matti, che conoscono altri matti, che conoscono delinquenti. Cara. La casa è in
silenzio. Si è svegliato con quel mal di testa che è una condanna alla vita. Vestito,
rasato, i capelli tagliati corti. Io sono colei che cresce nella notte, il
mantello che vi soffoca. Il pavimento è bianco, una striscia verde pallido
corre sulla parete, c’è un corrimano dello stesso colore sui due lati del
corridoio. «Non è che così muore?» “Montrose Hospital”, l’insegna si accende
quando Margaret esce dall’ingresso principale, le porte automatiche si aprono
come un sipario, la luce fredda la illumina appena mette piede sul piazzale. «Non
esagerare con il fondotinta Ramona.» I tergicristalli sono spenti. Se ne sta tutto solo seduto all’ultimo tavolo, quello
vicino alla porta della cucina, il suo tavolo preferito perché può vedere tutta
la sala. Non ho più visto Dreamer. Alle 23:36 di un mercoledì notte cerchi di
rimettere insieme i pezzi. Il dito si avvicinò troppo alla lama e si aprì di
due centimetri buoni, il sangue cominciò a colare sulle fette di pancetta
disposte ordinatamente sul vassoio. La bottega del becchino sta sul fondo del
vicolo senza uscita che s’incontra appena girato l’angolo del campo santo, in
direzione della campagna. Il suono arriva costante, aumenta sempre di più, è un
telefono che suona. La casa era costruita sul lato ovest della collina, il
salone centrale era dominato da una grande vetrata posizionata a favore del
sole al tramonto. I vestiti sono piegati e disposti in ordine sullo scaffale di
acciaio che occupa la parete in fondo alla cella. Il giardino è diviso su due
terrazzamenti: in quello più basso è piantata una fila di rose sul limitare
della proprietà. ROBERT – bugiardo. Poteva capitare che Chon e Carol si
trovassero la sera alla stessa ora nel salone. CATE-malvagia. Chon è seduto per
terra con le gambe incrociate, seduto sul tappeto rosso davanti a Carol. MARA-ladra.
C’è una scalinata che cade verso il paese, tutta curve e gradoni di pietra che
sono stonati come un pianoforte dimenticato in cantina; gradoni tutti storti e
tutti diversi con sassi che sbucano a caso dal terreno, questa via si butta giù
con coraggio e ignoranza fino alla piazzetta che si apre sul mare. Giocava
l’Italia, quella di calcio, insomma la nazionale. Le
persiane della finestra della camera di Carol sono state chiuse per tutta la
mattina. JACK-giocatore. Grazie. EVE-esibizionista. Funghi freschi. Tutti e
cinque i cadaveri rinvenuti nella cella sono morti prima di venire appesi e
prima che gli fossero applicate le cannule agli organi, si tratta quindi di un
rituale, non di una tortura, perché erano già morti. Baci
non dati e "ti amo" non detti, questo conta. Lauren è scappata: ieri
a mezzanotte è salita su un treno e l’ultimo che l’ha vista dice che aveva una
sciarpa bianca al collo e quando il treno è partito ha fatto scivolare la
sciarpa dal finestrino e tanti saluti alla signorina Sterling e al pazzo
criminale che si masturba sui vangeli. Ci sono gli scrittori e poi ci sono
quelli che scrivono. “Mannaggia a ‘sti sorrisi”. Fallo un miracolo, lo so che è
da egoisti chiederlo quando c’è bisogno. “Natale con i tuoi, Pasqua con chi
vuoi.” Mia
nonna si chiamava Costanza, è morta il 25/08/2008. Non c’è nulla di interessante
a uscire per passeggiare nel cuore della notte, non si riesce a dormire, per
quello si esce, per noia. Non sopportando i giorni di pioggia restava chiuso in
casa con le tapparelle abbassate e i tappi nelle orecchie per non sentire
quell’inutile ticchettio. Quando da bambini ci si arrampica sugli alberi non si
pensa a chissà come sarà cadere… si sale e basta. Ricordo il tuo
collo, rivedo il suo colore pallido ed elegante, etereo e delicato a pochi
centimetri dal mio viso, davanti alle mie labbra, il fianco del tuo collo
esposto e vulnerabile. Ma come fanno nei film? Tu che hai una canzone per ogni
nascondiglio. Virginia la conobbi sul finire di una serata, forse una serata
con la pretesa di essere una festa da ricchi in una casa da ricchi, al momento
non saprei dire. Quanto mi piaceva questa frase, ci passavo le giornate a
ripetermela da solo: “l’odore delle case dei vecchi, l’odore delle case dei
vecchi…” una litania, una cantilena che mi riportava ai margini di un’infanzia
che ogni giorno mi sembra più lontana e idealizzata, modificata e fasulla nei
ricordi che precipitano fuori dallo spazio utile del vero e certo. Il
nichilista 2.0 è stato trovato riverso nel proprio liquido seminale. Ieri ci
fosse il primo giorno di scuola, finito il giorno ci siamo ritrovati con Luca e
Sebastiano in cortile, dietro la siepe dove i più grandi ci buttano i
giornaletti nudi. Ad un certo punto perse il conto… Mi chiamo Levio. Questo non
è il mio vero nome, è il nome che mi sono scelto quando ho deciso di abbandonarmi
e di donarmi al solo me stesso. Non è sempre stato così, ho passato anni a
esistere senza consapevolezza, al sicuro. Di lei tutto ho assaggiato, e nulla
sapevo. Cercavo fama e successo. Il tempo passa, il calcio resta. Lo
scritto/scrivere deve abbandonare l’ansia di farsi capire, non è per spiegare
che si scrive, è sull’assenza che si stimola la lettura, anzi il viaggio;
l’esperienza, l’immersione, la fuga. A questo scrivere di peccati e non di
tragedie è segnata la triste esistenza, si vuole il godimento senza la fatica
di scovarlo in pieghe umidicce e in stretti pertugi dell'anima (parlo per me);
rimangono sempre parole e intenzioni su cui cadono, in ginocchio, i buoni
propositi. Anche oggi, come ieri, come anni fa, come sempre.
lunedì 18 dicembre 2017
giovedì 14 dicembre 2017
Non mi faccia il Monologo!
“Anche
oggi, come ieri, come anni fa, come sempre. Si apre un ragionamento sul fare il
monologo. Ragioni non ne abbiamo, non ce n’è.
A chi
importa del monologo? A nessuno.
A chi
frega nel 2017 di ascoltare in silenzio? A nessuno.
Ricercare
un’autorevolezza, che poi altro non è che un’assoluzione, è tempo perso.
Teniamo l’autorialità, responsabilità solo nostra (di chi scrive il monologo),
doniamo la gioia del compiacersi a chi re-citerà, lo citerà a suo gusto e a suo
modo; sarà altro autore, attore non basta. Atto sì, se farà atto, probabilmente
qualcosa succederà, se si farà attore sarà la noia.”
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