lunedì 18 dicembre 2017

INCIPIT



E c’era questa terrazza. Bellissima sul mare al mattino. Son tutte storie quelle che si dicono sul tuo conto. C’è un momento, proprio un attimo, una frazione di secondo. Mi hanno portato la lettera, sai che le fanno passare ai raggi X prima? «Pensa che io grido aiuto quasi tutte le notti.» Šostakovič, Dreamer. Le lenzuola potevi cambiarle ogni dieci o dodici giorni, non ricordo più. Non mi fanno più tenere effetti personali in camera. Ha cominciato a comprarsi cappelli da uomo. Non fare cazzate! Odio mio padre. Presuntuosa e bellissima Margaret, vai a farti un giro con la tua rabbia insoddisfatta e ubriacati alla mia salute, tu che puoi. “Quando è successo che sul sole ci hanno avvolto una garza?” Ho comprato delle piantine, cioè, sono dei piccoli cactus. Quanto gli piaceva andarsene in giro di notte per la città. Sabbia e spine. Con il suo vestito nero che le copre i piedi, così lungo che è inchiostro sul pavimento in una pozza che non ha confini tra lei e il pianoforte che suona davanti a tutti loro. Hugine Bedford, detto “Dreamer”. Nella nebbia che si alzava dal fiume s’intravedevano le luci gialle sulle facciate, l’umidità lucidava le pietre del passaggio tra la riva e le abitazioni. Mi dispiace per Pit. «C’è sempre un momento preciso in cui tutto ha inizio, non crede?» «Lei è Margaret Bencroft, anni ventisei, nata a Montrose il tre agosto dell'ottantanove?» Tutte le cose stavano al loro posto. I matti conoscono altri matti, che conoscono altri matti, che conoscono delinquenti. Cara. La casa è in silenzio. Si è svegliato con quel mal di testa che è una condanna alla vita. Vestito, rasato, i capelli tagliati corti. Io sono colei che cresce nella notte, il mantello che vi soffoca. Il pavimento è bianco, una striscia verde pallido corre sulla parete, c’è un corrimano dello stesso colore sui due lati del corridoio. «Non è che così muore?» “Montrose Hospital”, l’insegna si accende quando Margaret esce dall’ingresso principale, le porte automatiche si aprono come un sipario, la luce fredda la illumina appena mette piede sul piazzale. «Non esagerare con il fondotinta Ramona.» I tergicristalli sono spenti. Se ne sta tutto solo seduto all’ultimo tavolo, quello vicino alla porta della cucina, il suo tavolo preferito perché può vedere tutta la sala. Non ho più visto Dreamer. Alle 23:36 di un mercoledì notte cerchi di rimettere insieme i pezzi. Il dito si avvicinò troppo alla lama e si aprì di due centimetri buoni, il sangue cominciò a colare sulle fette di pancetta disposte ordinatamente sul vassoio. La bottega del becchino sta sul fondo del vicolo senza uscita che s’incontra appena girato l’angolo del campo santo, in direzione della campagna. Il suono arriva costante, aumenta sempre di più, è un telefono che suona. La casa era costruita sul lato ovest della collina, il salone centrale era dominato da una grande vetrata posizionata a favore del sole al tramonto. I vestiti sono piegati e disposti in ordine sullo scaffale di acciaio che occupa la parete in fondo alla cella. Il giardino è diviso su due terrazzamenti: in quello più basso è piantata una fila di rose sul limitare della proprietà. ROBERT – bugiardo. Poteva capitare che Chon e Carol si trovassero la sera alla stessa ora nel salone. CATE-malvagia. Chon è seduto per terra con le gambe incrociate, seduto sul tappeto rosso davanti a Carol. MARA-ladra. C’è una scalinata che cade verso il paese, tutta curve e gradoni di pietra che sono stonati come un pianoforte dimenticato in cantina; gradoni tutti storti e tutti diversi con sassi che sbucano a caso dal terreno, questa via si butta giù con coraggio e ignoranza fino alla piazzetta che si apre sul mare. Giocava l’Italia, quella di calcio, insomma la nazionale. Le persiane della finestra della camera di Carol sono state chiuse per tutta la mattina. JACK-giocatore. Grazie. EVE-esibizionista. Funghi freschi. Tutti e cinque i cadaveri rinvenuti nella cella sono morti prima di venire appesi e prima che gli fossero applicate le cannule agli organi, si tratta quindi di un rituale, non di una tortura, perché erano già morti. Baci non dati e "ti amo" non detti, questo conta. Lauren è scappata: ieri a mezzanotte è salita su un treno e l’ultimo che l’ha vista dice che aveva una sciarpa bianca al collo e quando il treno è partito ha fatto scivolare la sciarpa dal finestrino e tanti saluti alla signorina Sterling e al pazzo criminale che si masturba sui vangeli. Ci sono gli scrittori e poi ci sono quelli che scrivono. “Mannaggia a ‘sti sorrisi”. Fallo un miracolo, lo so che è da egoisti chiederlo quando c’è bisogno. “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi.” Mia nonna si chiamava Costanza, è morta il 25/08/2008. Non c’è nulla di interessante a uscire per passeggiare nel cuore della notte, non si riesce a dormire, per quello si esce, per noia. Non sopportando i giorni di pioggia restava chiuso in casa con le tapparelle abbassate e i tappi nelle orecchie per non sentire quell’inutile ticchettio. Quando da bambini ci si arrampica sugli alberi non si pensa a chissà come sarà cadere… si sale e basta. Ricordo il tuo collo, rivedo il suo colore pallido ed elegante, etereo e delicato a pochi centimetri dal mio viso, davanti alle mie labbra, il fianco del tuo collo esposto e vulnerabile. Ma come fanno nei film? Tu che hai una canzone per ogni nascondiglio. Virginia la conobbi sul finire di una serata, forse una serata con la pretesa di essere una festa da ricchi in una casa da ricchi, al momento non saprei dire. Quanto mi piaceva questa frase, ci passavo le giornate a ripetermela da solo: “l’odore delle case dei vecchi, l’odore delle case dei vecchi…” una litania, una cantilena che mi riportava ai margini di un’infanzia che ogni giorno mi sembra più lontana e idealizzata, modificata e fasulla nei ricordi che precipitano fuori dallo spazio utile del vero e certo. Il nichilista 2.0 è stato trovato riverso nel proprio liquido seminale. Ieri ci fosse il primo giorno di scuola, finito il giorno ci siamo ritrovati con Luca e Sebastiano in cortile, dietro la siepe dove i più grandi ci buttano i giornaletti nudi. Ad un certo punto perse il conto… Mi chiamo Levio. Questo non è il mio vero nome, è il nome che mi sono scelto quando ho deciso di abbandonarmi e di donarmi al solo me stesso. Non è sempre stato così, ho passato anni a esistere senza consapevolezza, al sicuro. Di lei tutto ho assaggiato, e nulla sapevo. Cercavo fama e successo. Il tempo passa, il calcio resta. Lo scritto/scrivere deve abbandonare l’ansia di farsi capire, non è per spiegare che si scrive, è sull’assenza che si stimola la lettura, anzi il viaggio; l’esperienza, l’immersione, la fuga. A questo scrivere di peccati e non di tragedie è segnata la triste esistenza, si vuole il godimento senza la fatica di scovarlo in pieghe umidicce e in stretti pertugi dell'anima (parlo per me); rimangono sempre parole e intenzioni su cui cadono, in ginocchio, i buoni propositi. Anche oggi, come ieri, come anni fa, come sempre.



giovedì 14 dicembre 2017

Non mi faccia il Monologo!



“Anche oggi, come ieri, come anni fa, come sempre. Si apre un ragionamento sul fare il monologo. Ragioni non ne abbiamo, non ce n’è.
A chi importa del monologo? A nessuno.
A chi frega nel 2017 di ascoltare in silenzio? A nessuno.
Ricercare un’autorevolezza, che poi altro non è che un’assoluzione, è tempo perso. Teniamo l’autorialità, responsabilità solo nostra (di chi scrive il monologo), doniamo la gioia del compiacersi a chi re-citerà, lo citerà a suo gusto e a suo modo; sarà altro autore, attore non basta. Atto sì, se farà atto, probabilmente qualcosa succederà, se si farà attore sarà la noia.”