lunedì 30 novembre 2015

ZIP

Si è svegliato con quel mal di testa che è una condanna alla vita.
Una roba così forte da vomitare davanti allo specchio del bagno, chiudere gli occhi e pregare di morire di botto, come un raudo dentro un tombino l’ultimo dell’anno.
Scrivere di botti e di fogne, e di cazzi in culo e di signorine dalla faccia stanca truccate male. Gli è presa ‘sta cosa di scrivere di cattiveria, da bullo sfigato e un po’ codardo.
Quanto è incazzato, sarà il mal di testa pensa.
Maledice pure di essersi lavato le mani, che con le mani pulite la cartina scivola troppo e sono dieci minuti che tenta di farsi una sigaretta.
L’altra notte ha pagato per avere la tessera di un’associazione sportiva dilettantistica, o una cosa del genere, in verità la tessera serve per entrare in un seminterrato all’angolo di una strada. Una stanza buia, con una stanza ancora più buia dietro la consolle del DJ.
La prima cosa che l’ha colpito sono state le piastrelle bianche, le stesse che ha sulle pareti il macellaio vicino a casa sua. Poi gli occhi si abituano al buio e comincia a sentire l’odore, che non sa proprio descrivere: sudore, borotalco, disinfettante, lacca, profumi svergognati, cuoio, e quello di sapone quando sparano il fumo in discoteca.
La stanza è una mezza luna, solo pareti e pavimento.
La sensazione che tutto possa accadere è una droga.
Si aggira come un vampiro, come un boy scout espulso dal campo estivo. Tutti quei corpi che sono lì che sembrano guardarlo: cosce, culi, tette, schiene appoggiate e gambe aperte, ginocchia in adorazione. Si avvicina e guarda. Gli sembrano tutti uccelli enormi, addominali e tette da copertina.
Il bancone del bar è una fiera dei miracoli, è quasi orgoglioso di essere gomito a gomito con questo colpo di coda della notte. Il bere fa schifo, è proprio una merda, i bagni sono liberi, nel senso che tutti possono entrare dappertutto. Si ferma a guardare la gente pisciare.
Non dev’essere facile pisciare sui tacchi.
C’è una che lo guarda, cioè, lui pensa di essere guardato, ma non è sicurissimo. 
Poi scoprirà che lei non riesce a venire perché ha sniffato tutta la notte. Questo è quello che lei gli dice quando si ritrovano davanti allo specchio della camera. Si addormentano con i culi nudi e vicini, di spalle, per pudore di disturbare il sonno dell’altro. 

venerdì 27 novembre 2015

Attese (MARGARET #13)

La casa è in silenzio.
Le tende sono tirate, niente luce.
Sulla lampada c’è un foulard blu scuro, la stanza è blu: una notte soffice e artificiale.
Ve la immaginate la donna sul divano?
Ha le gambe nude, una canottiera grigia, i capelli dipinti sulla fodera bianca.
Medusa, Salomè, Messalina, Maria Maddalena. I loro ritratti sono tutti appesi sulla parete davanti a lei.
Il collo le fa male, è buttato all’indietro, fissa il soffitto che a tratti sfoca nel viso e nel sorriso a bocca aperta di Dreamer.
C’è puzza di fumo e di chiuso, ha dormito lì, ha bevuto e fumato sempre lì.
Per nulla.
Aspettando di sentire un colpo alla porta, una voce sottile, credendo spesso di sentire tutte e due le cose; affacciandosi sul bordo delle tende per vedere quello che non c’era.
Adesso che sa. Adesso che lui è fuori, lei, si è chiusa dentro.
Avrebbe potuto dire alla polizia che Hugine Bedford le ha sconvolto la vita, ma le sembrava una cosa così patetica, così da soap, che non l’ha detto.
Il non sapere, non avere la percezione di quello che sarà.
Odia l’attesa, odia il pazientare. Odia, ancora una volta, lui.
Tornata dall’interrogatorio ha preparato una borsa, pronta per andarsene. Altra cosa patetica: calata nel ruolo di fuggitiva con il proprio amante.
Ha cominciato a bere quando ha chiuso la borsa, quando ha guardato quella cazzo di borsa pronta sul letto, come se fosse una fidanzatina che aspetta il colpo di clacson per infilarsi in un fine settimana romantico.
“Tristissima e patetica Margaret”, ha pensato.
Poi suonava il telefono, in continuazione.
La segreteria annunciava robotica che il tal giornalista voleva avere una sua dichiarazione. Il poliziotto gentile le chiedeva se poteva ripassare in centrale, con comodo, voleva solo rivedere alcune cose… “vuoi scopare, ecco cosa vuoi rivedere”.
Poi Jeremy.
Jeremy che strillava nel telefono: “Margie richiamami, dicono che Hugine ha ucciso un ragazzo alla clinica.
Continuava a riascoltare il messaggio di Jeremy.
Margie richiamami, dicono che Hugine ha ucciso un ragazzo alla clinica.
Alza le gambe, punta i talloni sul bordo del divano, la canottiera si solleva, scopre la pancia, c’è un sottile cambio di calore quando il sedere scivola qualche centimetro in avanti.
Margie richiamami, dicono che Hugine ha ucciso un ragazzo alla clinica.
La mano preme il suo palmo con forza sulla pelle tesa, spinge verso il basso, le dita risalgono e precipitano nel suo solco.
Margie richiamami, dicono che Hugine ha ucciso un ragazzo alla clinica.
Le cosce chiudono il polso, una lotta di piacere tra le sue gambe e il suo braccio.
Margie richiamami, dicono che Hugine ha ucciso un ragazzo alla clinica.
Rumore di piedi nudi che sbattono nelle pozzanghere, muscoli che piangono contrazioni e si perdono i sensi della ragione.

Gode. La segreteria telefonica vola scagliata contro il muro.

lunedì 23 novembre 2015

CUTTY SARK

Mar Cinese – giorno 22 Novembre 1869

Capitano H. William


Cara.
Dolce anima mia tieniti questa lettera stretta alla tua persona. Che possa il Signore prenderla nelle sue mani e darmi la possibilità che arrivi a te appena toccheremo di nuovo terra.
Ti scrivo un bacio che ti devo dal giorno in cui sono salpato, spinto da un cieco dovere verso il viaggio, che attira e seduce noi, che siamo fatti per guardare dall’orizzonte le terre emerse.
A te che sei arcobaleno, sei luce e trasparenza, sei bontà e calma. A te il mio bacio più caro.
Il tempo è buono, da una settimana navighiamo con una velocità di media che ci potrebbe far vincere.
L’equipaggio è silenzioso, ho fatto loro un discorso questa mattina. Ho dovuto metterli di fronte al fatto che non è pensabile rinunciare, la decisione è stata presa. “Siete marinai, uomini di vento e coraggio”. Ho detto loro queste parole per scuoterli dall’incertezza e dai timori in cui si erano precipitati.
Sono preoccupato, ma sono tutti uomini avvezzi all’avventura, e anche se per alcuni di loro è più la promessa della paga e per altri la mancanza di una vita a terra che li ha fatti tornare in mare, posso essere certo che sanno il loro mestiere.
Il Sig. Mallory si è preso la febbre: non si alza da quattro giorni, ha perso peso, è scosso da brividi e deliri. Ho disposto che gli venga servito brodo caldo tre volte al giorno.
Ho dei dubbi sul mio secondo, il Sig. Flint. L’altro giorno l’ho sorpreso a parlare fitto con il nostromo. Flint era contrario a insistere su questi ritmi di navigazione dopo l’incidente capitato al giovane Gilmore. Povero ragazzo, quattordici anni spenti da un piede in fallo, un volo di quaranta metri. Morire al primo servizio, la vita non risparmia nemmeno i suoi allievi più giovani.  
Tesoro mio, non posso avere incertezze su chi dovrebbe essere la mia voce nelle notti buie, devo poter fidarmi di chi porta i miei comandi fuori dal cassero.
Ti penso e prego che la lucidità dei tuoi sentimenti illumini i miei dubbi, come la luna e le stelle ci guidano su queste acque.
Perdona l’arroganza che ci tiene lontani, figlia di una corsa contro il tempo da Shanghai a Londra, per consegnare qualcosa di leggero e prezioso come le foglie di tè.
Sono sicuro che tanto futile, e inutile, ti sembra questa vita a rischiare tutti i giorni.
Cerca di trovare la comprensione e la pazienza dell’attesa nella consapevolezza che questa vita è quella che mi ha formato per come tu mi hai conosciuto, e per questo amato.

Con tutto il cuore che può portare il vento, con tutto l’amore che sulle onde infrange e scuote il mio corpo.
A presto, a stringerti tra le mie braccia.

Harold William


venerdì 20 novembre 2015

Eveline (DREAMER #12)

I matti conoscono altri matti, che conoscono altri matti, che conoscono delinquenti.
La catena della socialità deviata è forte e solidale, un mutuo soccorso che non chiede garanzie, solo referenze.

«Mi ha fatto il tuo nome Strey, eravamo insieme al  “S. Louis Correctional Hospital”. Mi chiamo Hugine.»
«Qual'è il soprannome di Strey?»
«Crystal ball.»
«Perché lo chiamano così?»
«Deriva dal nome di un gioco per bambini. Fa riferimento alla passione di Stray per sniffare colla e fumare crack.»
«Hai dei soldi?»
«Quanti per dei vestiti e due notti?»
«Duecento.»
«Cinquanta.»
«Cento, e ti fermi una notte sola.»
«Fatta.»

Eveline gestisce un centro per cani abbandonati o maltrattati che vengono tolti ai proprietari. Avrà circa quarantacinque anni. La donna più brutta e più sporca che abbia mai visto in vita mia.
Il canile è di proprietà statale, Eveline ha avuto accesso alla gestione grazie al suo passato di tossicodipendenza, delinquenza, riabilitazione e reinserimento. 
Lo stato ha premiato i suoi sforzi per rimanere viva e lei contraccambia facendo da supporto logistico a chi ha una certa fretta e non ha tempo di richiedere documenti, oppure non ha i requisiti per una carta di credito, o non può affittare una stanza in un motel.
Eveline ama i cani e si fa amare da loro. Non so se i cani amino Eveline.

Nel centro ci siamo solo io, Eveline e i cani.
Dormirò dietro una parete mobile di compensato bianco che è il finto fondo di una gabbia. Dopo che sono entrato, passando per la gabbia, Eveline chiude la parete e nella gabbia fa entrare un pastore tedesco di nome Scotch.
Nello spazio dietro la gabbia c’è posto per una branda, un piccolo wc e nient’altro. Eveline potrebbe tenermi qui per sempre, il covo è insonorizzato, l’aria è forzata attraverso un condotto controllato da una ventola. Potrebbe seppellirmi vivo qua dentro e nessuno sentirebbe più parlare di Hugine, detto Dreamer.


Buonanotte Eveline, buonanotte cani, buonanotte mondo. Dreamer è vicino.

lunedì 16 novembre 2015

ISOLE

Tutte le cose stavano al loro posto.
Il mare.
La terrazza.
Faceva un certo effetto: i tavolini buttati in un angolo, le sedie che mancavano. L’immagine zoppa della terrazza sul mare era una martellata in pieno viso.
L’assenza dei corpi brucia al sole. Niente corpi, niente ombre.
Solo il vento che avanza sugli scalini. Solo.
Non è nemmeno salito a guardare il mare.
Davanti a lui era già così grande lo spazio della sabbia e il rumore della marea che non aveva senso girarsi e provare a guardare se oggi era diverso da ieri.
Sono gli anni che mantengono l’idea di una promessa.
Gli anni che ingannano e cancellano.
Ogni tanto. Più per caso che per fortuna. Succede.
Succede che ci si ritrovi a fissare il mare.
-Non è più tornato.
-Non mi hanno lasciato partire.
-Io ho smesso di piangere.
-Io l’ho fatto per entrambi.
-Le viene bene?
-Piangere?
-Si.
-Non tanto, è più un urlo che muore sotto la lingua.
-Perché si sforza. Deve essere più un canto che un urlo.
-Fuma ancora?
-Solo quando piango.
-Beata lei che ha smesso.
-Può cercare di farmi piangere.
-Sarebbe come barare.

  

venerdì 13 novembre 2015

La deposizione (MARGARET #11)

MPD - 11/13/2015/05.37 a.m. - Montrose

«Lei è Margaret Bencroft, anni ventisei, nata a Montrose il tre agosto dell'ottantanove?»
«Sono Margaret.»
«Risponda con nome e cognome per favore, stiamo registrando la sua deposizione.»
«Lei è Margaret Bencroft, anni ventisei, nata a Montrose il tre Agosto dell'ottantanove?»
«Si, sono Margaret Bencroft.»
«Signorina Bencroft, conosce Hugine Bedford?»
«È per lui che mi avete portata qui all’alba?»
«Conosce Hugine Bedford?»
«Conosce Hugine Bedford? Conosce Hugine Bedford? Cosa sei una specie di pappagallo?»
«Quando lo ha visto l’ultima volta?»
«Si può fumare qui?»
«Risponda alle domande e le farò avere un caffè e potrà fumarsi una sigaretta.»
«Conosco Hugine Bedford, non lo vedo dalla sera in cui è stato arrestato, perciò non lo vedo da… circa sei mesi.»
«Ha cercato di contattarla nelle ultime quarantotto ore?»
«Oh… senta: ho sonno, ho voglia di fumare, comincia a farmi male la testa, mi può dire che cazzo volete? Chi avrebbe dovuto contattarmi…?»
«Il sig. Bedford è evaso due notti fa, nella stessa notte il suo compagno di stanza… il sig… Pit Dusler si è, a quanto pare, suicidato buttandosi dalla finestra. Sfondando la finestra con il proprio corpo e buttandosi.»
«Mi ha mollato.»
«Chi l’ha mollata?»
«Dreamer, Heugine, mi ha lasciata.»
«Abbiamo letto le lettere che lei gli ha scritto, non…»
«Vuole sapere com’è finita all’autolavaggio?»
«Non sa dove potrebbe trovarsi in questo momento il sig. Bedford?»
«Io non l’avrei mai lasciato… volevo solo che si sentisse in bilico, come me…»
«Signorina Bencroft, si riferiva all’autolavaggio che il Sig. Bedford ha incendiato?»
«Non avete prove che sia stato lui, non è stato arrestato per questo.»
«Ha ragione, non è stato arrestato per l’incendio, anche se ci sono buone probabilità che sia stato lui ad appiccarlo, dopo aver picchiato il proprietario e averlo percosso con una catena da traino, averlo legato alle spazzole dell’autolavaggio e aver messo in funzione l’impianto, che subito dopo ha preso fuoco. Il proprietario è vivo perché un violento temporale ha spento l’incendio. Anche se vivere senza un occhio, una zoppia permanente e ustioni sul settanta per cento del corpo, non so quanto sia vita. Allora, può darci qualche informazione sul suo ex ragazzo?»
«Se Dreamer ha deciso di scappare è perché crede di avere qualcosa di sospeso qua fuori. »
«Perché non è mai andata a trovarlo?»
«Non mi piacciono i musei con la gente dentro.»
«Ha detto che pensa che il Sig. Bedford sia evaso per regolare dei conti in sospeso, ha qualche sospetto su chi, o cosa, possano essere questi conti?»
«No, nessun sospetto, pensavo si fosse calmato, aveva anche ricominciato a scrivere.»
«Non è in grado di dirci se ci sono delle persone con cui il sig. Bedford possa essersi messo in contatto una volta evaso, oppure dei luoghi in cui possa essere andato per nascondersi?»
«Hugine è come una medusa, sembra calmo, sempre un po’ lento, ma in un secondo ce l’hai addosso. Non dimentica nulla. È una medusa con la memoria di un elefante.»
«Questo è il mio numero, se le viene in mente qualche cosa che pensa possa essere importante, se il sig. Bedford cerca di mettersi in contatto con lei, ci avvisi subito, non è un gioco…»
«Con Dreamer non è mai stato un gioco.»
«Qualsiasi cosa le venga in mente, anche se non le sembra importante, mi chiami.»
«Posso fumare adessso?»
«Puo’ tornare a casa, abbiamo finito.»
«Prima voglio il caffè che mi ha promesso.»

«Stoppare registrazione. Firmi sulla riga.»

Margaret Bencroft

MPD - 11/13/2015/06.22 a.m.                                                             

lunedì 9 novembre 2015

INIZIAL-MENTE

«C’è sempre un momento preciso in cui tutto ha inizio, non crede?»
«Si riferisce alla prima volta in cui ci s’incontra?»
«Banale e vigliacco come momento d’inizio, ovvio che ci s’incontra, ma s’incontrano molte persone ogni giorno e non s’inizia qualcosa con tutte.»
«Non capisco cosa intende?  Il primo bacio?»
«Non capisce nulla! Il primo bacio è quasi alla fine.»
«Sarà la fine per lei, lo ricordano tutti con precisione.»
«Tutti ricordano quello che serve ricordare per rispondere alle domande.»
«Adesso mi fa i giochi di parole? Pensavo stesse per rivelarmi una profonda verità.»
«Cosa vuole che le riveli? Se non lo ricorda lei quando ha capito che tutto stava cominciando non è mica colpa mia. Almeno faccia lo sforzo di pensarci! La prego però, di non cominciare ad elencarmi: titoli di canzoni, feste sulle spiagge o qualche amico comune che vi ha presentati. I parametri geografici e sociali dei suoi primi incontri non m’interessano e non sono il momento preciso in cui tutto ha inizio.»
«Se uno ricorda certi particolari è perché saranno importanti, no?»
«No.»
«E cosa si dovrebbe ricordare? L’odore?»
«Ecco, vede che non è del tutto stupido. L’odore potrebbe essere un inizio»
«Si, ma così si contraddice, per ricordare certi particolari bisogna prima frequentarsi.»
«La sua razionalità mi irrita parecchio lo sa? Non capisco se è a corto di poesia o di fantasia.»
«A me irrita la sua maleducazione.»
«Altro inizio. Lo vede che se non pensa c’è comunque qualcuno che lo fa per lei.»
«Eccola la psicologia spiccia…»
«Non riesce a ricordarsi nessun inizio vero? Si ricorda i luoghi, chi c’era, magari anche cosa avete mangiato, ma il momento preciso no. Si ricorda solo false partenze.»



venerdì 6 novembre 2015

L'evasione (DREAMER #10)

Mi dispiace per Pit.
Del resto se non l’avessi buttato dalla finestra non si sarebbe verificata quella situazione di caos e profondo stupore tra il personale del turno di notte. Situazione che rispecchiava le mie aspettative di fuggitivo.
Dreamer è fuori gente!
Non hanno pensato alle grate, niente grate alle finestre per i piani alti.
Un corpo scagliato con forza contro il vetro rinforzato genera sufficiente spinta da mandare tutto in frantumi.
Pit giace di sotto, un po’ scomposto di braccia e gambe. Non ho avuto tempo di capire quanto fosse ancora tra noi, comunque vada: grazie Pit, sei stato l’angelo mandato al momento giusto.
“Aiuto! Infermiere! Pit si è buttato, si è buttato dalla finestra… aiuto”.
Adesso comincia il difficile: andare in giro con il culo al vento e un camice da ospedale, bianco a pois blu, non è la tenuta migliore per un evaso.

Dalle telecamere di sorveglianza, si vede il paziente Hugine Bedford scendere nel cortile. Il paziente esce dal campo visivo dopo essersi addentrato nel giardino. Ricompare sui monitor mentre esce dal cancello nel momento in cui entra l’ambulanza. L’agente nella guardiola era impegnato a segnalare il corpo del suicida al personale medico.
Nella camera del paziente, incisa nel pavimento di linoleum del bagno, è stata trovata la seguente scritta:“Dreamer was here”.


lunedì 2 novembre 2015

Polaroid

Nella nebbia che si alzava dal fiume s’intravedevano le luci gialle sulle facciate, l’umidità lucidava le pietre del passaggio tra la riva e le abitazioni.
Noi scendevamo verso la sponda destra, avevamo già passato la piccola discesa che ti porta a livello dell’acqua.
Milla mi teneva un braccio intorno alla vita, io le tenevo le spalle, urtavamo i nostri fianchi ad ogni passo. Senza fretta e senza pensare a cosa ci saremmo detti. Non era molto importante, il freddo ci spingeva vicini e tutto aveva un senso.