mercoledì 15 dicembre 2021

Lo Stato di Emergenza

 

Lo Stato di Emergenza

  C’era una volta a cupola, tal siffatto manufatto faceva da casello, dogana, frontiera, porta, o per lo più gnorante; semplice passaggio, attraverso il quale si accedeva allo Stato di Emergenza.

Bagnato da tre mari e cinto sul capo da catene di monti altissimi e innevati, codesto Stato di Emergenza si difendeva da li nemici alquanto bene, con un trucco antico ma assai funzionale: chi era fuori non poteva entrare e chi era dentro non poteva uscire.

Nello Stato di Emergenza gli omini liberi si distinguevano dagli uomini quasi liberi dal colore dei capelli; verde per i liberi e marrone, grigio, biondo, nero, rosso, castano, brizzolato, fumo di Londra, sangue di piccione, terra di Siena, muco di drago, cappella di fungo e blu di Prussia per i quasi liberi.

Il lettore più attento avrà già capito che i parrucchieri nello Stato di Emergenza erano proibiti e tali antiche botteghe non esistevano più. Il paesaggio variegato e assai affascinante dello Stato di Emergenza è cinto da moltitudini di spiagge di tutte le fogge e colori del creato, soffiato da caldi venti che sinuosi accarezzano le turgide colline colme di vigne che instancabili pompano il sacro nettare chiamato vino, altezzose insenature si gettano nel cristallo di mare nostrum e borghi antichissimi, chiese maestose, antiche rovine di civiltà gagliarde sono sparsi come polline dal passaggio della Storia, che nello Stato di Emergenza, lei sì, è entrata e uscita millenni e milleni e milleni di volte.

Tale Stato di Emergenza era una volta chiamato dalle barbare tribù: Bel Paese, ora, per editto dell’imperatore di ‘sto cazzo [ndr] è obbligatorio il nome promulgato nel titolo sopracitato.