"Mario
tre dita", "Gigi treccani", "Sabrina mezzo bianco" e
via di questo passo… i soprannomi sono alberi genealogici di un individuo, DNA
bastardo affibbiato un bel giorno senza una ragione precisa.
I
soprannomi non muoiono mai, sono erbe infestanti che verranno ricordati anche
il giorno dei funerali.
Prendi
"Gigi treccani", Gigi ha veramente tre cani, ma non è per questo che
è nato il soprannome, il soprannome è nato perché Gigi parla a raffica di
qualsiasi argomento, ti stordisce di parole, concetti, opinioni (sue) è quello
che si definisce in modo scherzoso un tuttologo; sa tutto su tutto, ma non sa
niente di tutto. Data questa sua caratteristica enciclopedica allo sproloquio e
avendo tre cani il soprannome è arrivato come un fine calembour linguistico:
tre cani/Treccani come la famosa enciclopedia. Quello di Gigi è un soprannome
vigliacco, un soprannome di spalle. Lui non sa di essere apostrofato così, il
resto del microcosmo che popola il bar frequentato da Treccani sì.
Il
terreno su cui proliferano i soprannomi è il bar, il baraccio di quartiere
dove incontri sempre le stesse facce e ascolti sempre le stesse battute, quello
in cui chiami il barista per nome e il cesso è veramente un cesso. Quello senza
-signature cocktails-, senza barman in guanti neri di lattice che usano
contagocce e misurini per farti da bere. Vino
bianco o rosso, è il colore che conta. Birra, solo chiara, solo media. Negroni,
al massino uno sbagliato, se chiedi un americano gli stai già un po’ sui
coglioni. Spritz Campari, roba da uomini, quello con l’Aperol è per la festa
della maturità. Poi arrivano tutte le declinazioni eno-slang: mezzo bianco,
mezzo bianco spruzzato, mezzo rosso, un rosso con il ghiaccio. Mojito quando
c’è la menta, una o due volte all’anno, campari shakerato solo dopo le ore venti
e per clienti affezionati.
Ah,
dimenticavo… Mario non è monco è solo un ex militante degli anni ’70, frangia
extraparlamentare, e quando è in preda alla nostalgia alza la mano sinistra e
fa il simbolo della pistola o P38 per i puristi dell’epoca, ovviamente nei
duemila è diventato Mario tre dita.
Sabrina ha una dipendenza che è socialmente accettata, non fa notizia -la dipendenza- , lei affoga ogni giorno un pochino di più, il baraccio non può aiutarla... il baraccio, come la vita, non si volta indietro.