martedì 26 luglio 2016

TERROR VACUI


Il nichilista 2.0 è stato trovato riverso nel proprio liquido seminale. Barricato all’interno del suo appartamento: due camere e un bagno con doccia, piano cottura vetrificato ad alta tecnologia “touch-no fire”.
La scaffalatura in acciaio cromato con piani a listelle di teak conteneva viveri per cinque anni. Etichettati e divisi tra proteine e carboidrati, lieve presenza di grassi saturi nell’ultimo scaffale in alto, la vergogna nascosta alla vista di una confezione di pancetta sottovuoto.
La serratura della porta era stata riempita con una saldatura di stagno a filo continuo, levigata e resa perfettamente piana e inaccessibile.
I tre macroschermi ancora in funzione nel momento dell’irruzione erano sintonizzati sui principali canali di news, i cinque computer elaboravano il software perpetuo che aggiorna i feed dei social in automatico; sincronizzandosi sui titoli delle prime pagine dei quotidiani on-line.
Non è stato trovato nessun biglietto a spiegare l’innaturale gesto. Non è stato possibile accertare se i vicini conoscessero il nichilista. Nessuno ha voluto accedere al programma di interviste post-mortem, rinunciando al gadget tecnologico (penna ottica) che è uso rilasciare in questi casi.
Verranno visualizzati i filmati delle web-cam e tracciato un profilo sociale dell’immondo che ha osato sottrarsi al proprio tempo.
La sepoltura non avrà luogo e sarà data comunicazione del nome solo a mercati chiusi.

Ricordiamo alla cittadinanza che è sconsigliato immergersi nel flusso di notizie per più di trentadue minuti al giorno, ed è vietato: analizzare, comparare e approcciare con spirito critico il flusso di notizie.

martedì 5 luglio 2016

L’odore delle case dei vecchi



 (La grande bellezza – P. Sorrentino)

Quanto mi piaceva questa frase, ci passavo le giornate a ripetermela da solo: “l’odore delle case dei vecchi, l’odore delle case dei vecchi…” una litania, una cantilena che mi riportava ai margini di un’infanzia che ogni giorno mi sembra più lontana e idealizzata, modificata e fasulla nei ricordi che precipitano fuori dallo spazio utile del vero e certo.
La frase è quella del film, il film famoso. Ho provato a ricordare la mia vita come un film, ho cominciato dai titoli di coda, dall’ultima inquadratura. Siccome “l’ultima inquadratura” non è ancora accaduta, nella vita le inquadrature accadono, non si girano. Ho usato l’immaginazione. Ho proiettato.

Sono da solo su una terrazza, in mutande, seduto su una sedia di legno. Sto ricordando, non ricordo nulla però. Questo è quello che mi fa piangere: sforzarmi di ricordare e vedere solo il bianco del cielo, il lattiginoso e piatto bianco delle giornate afose di Milano. La pazienza, è sempre e solo questione di pazienza, pazienza e resistenza. Comincia qualcosa ad affiorare, e poi come un neonato che sbuca nel mondo ci si ricorda…

Quando molti anni fa, in seconda superiore mi bruciarono la guancia con la capocchia incandescente di un accendino lì per lì non feci nulla, il tizio ripetente che mi aveva arrovellato la faccia era molto più grosso di me, aspettai.
Quando suonò la campanella della ricreazione a metà mattinata fui l’ultimo a uscire dalla classe, prima di uscire ero riuscito a intrufolare la mano sotto il banco dello stronzo ripetente e a prendere il suo astuccio: vecchio e blu, di tela. Mi portai l’astuccio in bagno e con calma lo sfregiai una ventina di volte con il taglierino, poi arrotolai sulle ferite circa mezzo rotolo di scotch. Scivolai in classe e rimisi l’astuccio al suo posto. Il tizio grosso stronzo ripetente ci rimase male, stupidamente male, perché non sospettò di me. A mio modo di vedere avrei dovuto essere il primo imputato, ma lui si limitò a qualche invettiva gettata nel mucchio a mezza bocca. Fu il mio primo atto deliberato a delinquere.

Dalla terrazza si vede la facciata del palazzo di fronte, anonima e liscia, i miei capelli sono lunghi fino alle spalle che sono diventate magre. Piango ancora, senza urgenza, la gravità cola dai miei occhi e io mi concentro sulle lacrime.

L’onda si portò in alto il canotto con noi tre sopra ribaltandoci. Io rimasi sotto il canotto e quando cercai di uscire dall’acqua sbattei la testa contro i salsicciotti del fondo del canotto, che come una fionda mi ributtò sott’acqua. Risalii come una molla e come una molla il canotto mi respinse di nuovo, effetto ventosa, avrei poi analizzato. Nel frattempo era il panico. La paura e la certezza di non uscire da lì sotto e di affogare a sette anni in un metro e mezzo d’acqua. Quello che ricorderò sempre è il senso di ingiustizia. Perché io? Dovevo proprio morire solo e al buio? Ma soprattutto, perché nessuno si accorgeva di nulla e non veniva in mio aiuto? Riemersi. Nessuno si era accorto di nulla, il sole era ancora caldo ed era ancora estate. Fu il mio primo tentativo di andarmene controvoglia.

L’odore delle case dei vecchi. La violenta contrazione del tempo che spreme fuori i ricordi sempre meno spruzzi e sempre più gocce isolate.
La penosa considerazione che ricordare non è un riflesso condizionato.
Rievocare. Questo è il nostro atto a delinquere che reiteriamo in affannosa voracità in gara sui nostri anni.