Vestito,
rasato, i capelli tagliati corti.
Eveline
è molto professionale, mi ha fatto trovare tutto ciò di cui avevo bisogno sulla
mensola del bagno, profumo compreso.
Mi
vergogno a guardare il mio viso senza barba.
La
vergogna è una cosa che odio, ucciderei
per vergogna.
Eveline
è davanti al televisore e mi indica una tazza di caffè sul tavolo.
«Le
tue quotazioni salgono Bedford, hai vinto un’accusa di omicidio.»
La
faccia di Pit occupa metà dello schermo, l’altra metà è presidiata da una
giornalista che sta parlando davanti al cancello della clinica in cui ero
rinchiuso.
Pit
è morto.
«Non
doveva fidarsi, io e te non siamo amici Pit, continuavo a ricordarglielo. La
gente tende ad abituarsi, questo è il loro errore. Dividi la stanza con
qualcuno, dopo qualche mese ti abitui e pensi che sia un tuo amico. Dimentichi
il motivo per cui quella persona è rinchiusa in quella stanza. L’abitudine rende
deboli Eveline. L’abitudine fiacca il tuo istinto. L’uomo abitudinario soccombe
perché non sente più il predatore, soccombe perché ha dimenticato di essere un
cacciatore.»
«Tu
sei un essere paranoico e pericoloso, lo sai vero?»
«Siamo
tutti pericolosi Eveline, è questo il bello di essere umani, a volte siamo
esseri, e a volte umani.»
«Dammi
i miei soldi e vattene.»
Vestito,
profumato, rasato.
Il
predatore cammina verso il suo terreno di caccia.
La
fermata dell’autobus, quello che porta all’ospedale di Montrose.
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