lunedì 16 novembre 2015

ISOLE

Tutte le cose stavano al loro posto.
Il mare.
La terrazza.
Faceva un certo effetto: i tavolini buttati in un angolo, le sedie che mancavano. L’immagine zoppa della terrazza sul mare era una martellata in pieno viso.
L’assenza dei corpi brucia al sole. Niente corpi, niente ombre.
Solo il vento che avanza sugli scalini. Solo.
Non è nemmeno salito a guardare il mare.
Davanti a lui era già così grande lo spazio della sabbia e il rumore della marea che non aveva senso girarsi e provare a guardare se oggi era diverso da ieri.
Sono gli anni che mantengono l’idea di una promessa.
Gli anni che ingannano e cancellano.
Ogni tanto. Più per caso che per fortuna. Succede.
Succede che ci si ritrovi a fissare il mare.
-Non è più tornato.
-Non mi hanno lasciato partire.
-Io ho smesso di piangere.
-Io l’ho fatto per entrambi.
-Le viene bene?
-Piangere?
-Si.
-Non tanto, è più un urlo che muore sotto la lingua.
-Perché si sforza. Deve essere più un canto che un urlo.
-Fuma ancora?
-Solo quando piango.
-Beata lei che ha smesso.
-Può cercare di farmi piangere.
-Sarebbe come barare.

  

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