Quanto gli piaceva andarsene in giro di
notte per la città.
Un po’ a passo svelto, a passo doppio, a
contro passo e giravolta, a saltare sul parapetto del lungofiume, in equilibrio
sulle caviglie che suonavano ancora swing e profumo di acqua di colonia su
colletti bianchi.
Le file di luci gialle appese tra un
lampione e l’altro.
Le sirene delle chiatte: balene dalla
pancia nera che si portavano sulla schiena tutto il ciarpame che per magia
finiva nei magazzini e nelle botteghe mai sazie.
A fumarsi l’ultima su quella panchina di
marmo, con la chiesa alle spalle, il prato ancora arrotolato per la notte:
scuro e zitto.
E la luce… quella luce che dura un
attimo, la luce a cavallo. Che cambia i colori, disarma le ombre e accende i
rumori.
Felicità. Ecco cos’era. Mr. Arcibald
Singleton era felice.
Felice di poter indossare calzini
colorati sotto lo smoking, felice di accavallare le gambe con un caffè in mano,
felice di notare il colore degli occhi della ragazza che vendeva rose nel
chiosco sotto casa. Felice di accorgersi, di nuovo, dopo molto tempo, che dopo
le ventuno se apri la finestra e inspiri con lentezza senti l’aria di neve che
è già lì.
“Sensibilità ritrovata”, così se la
diceva questa sensazione che aveva cominciato a rilassare la mascella, a rallentare
il passo durante il camminare. A scoprire che il lato di strada che percorreva
tutti i giorni per andare in ufficio non fosse necessariamente il migliore,
ritrovarsi sul lato opposto fu l’ennesima banale e sconcertante scoperta.
Era
meglio.
Non sapeva dove fosse andato a pescarla
tutta questa attenzione per le cose che accadevano, era sempre stato uno che
osservava con attenzione, questo si. Ma adesso era diverso, era come se le cose,
che accadono, osservassero lui e gli dicessero: “Prego Mr. Singleton, si
accomodi, siamo qui per lei, per renderla felice.”
C’erano giorni in cui all’improvviso si
fermava in mezzo alla strada, o in mezzo a una stanza, sulle scale o dovunque
si trovasse. Si bloccava e rimaneva con il collo immobile e gli occhietti che
saettavano a destra e sinistra senza muovere il viso, a ricercare il trucco. Ad
attendere che saltasse fuori qualcuno da una botola nel terreno,
da dietro un albero, che si calasse da una nuvola… insomma qualcuno che arrivasse
a dirgli: “Naturalmente è tutto uno scherzo, non c’è nessuna felicità, nessuna
sensibilità, lei è vittima di un esperimento. Tra poco tornerà alla sua vita di
sempre: tra percorsi sempre uguali e calzini blu.”
Non succedeva nulla, non arrivava
nessuno.
Dopo un po’ non si bloccava più, non si
sentiva in difetto, aveva smesso di cercare il motivo per questo e per quello.
Se doveva passeggiare passeggiava, se
era in ritardo ritardava, se era arrabbiato correva, se era solo cantava,
spesso faceva queste cose tutte insieme. Tranne il ritardo, quello arrivava
sempre prima di lui.
E prima di addormentarsi diceva sempre:
buonanotte.
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