lunedì 5 ottobre 2015

DUE PAROLE

Odio mio padre.
Odio il suo tempismo nel rovinarmi i progetti, le giornate, il mio passato, e con un ultimo colpo di coda anche il mio futuro. E’ riuscito a morire di domenica notte. La telefonata del suo avvocato, l’unica persona che gli è rimasta accanto negli ultimi anni, è arrivata all’alba di lunedì mattina. Il lunedì mattina del mio passaggio a “senior executive”. Al lavoro mi aspettavano: il mio nuovo ufficio, un piccolo ringraziamento da parte del direttore di dipartimento, e una birra con i colleghi. Tutto questo non ci sarà, certo è stato tutto rimandato, ma non sarà la stessa cosa farlo al mio ritorno.
Infarto.
Prima classe.
Il volo per il rientro in Italia trattandosi di lutto è pagato dall’azienda. Mi spetta di contratto viaggiare comodo prima dei funerali.
Milano. 
Dieci anni che non ci torno, mi manca? Immagino che dieci anni possano giustificare una mancanza, per adesso mi sembra soltanto una lunga assenza. Un lungo sonno fuori dall’Italia e dalla mia città.
Il funerale è alle dieci, mi faccio portare in piazza Sant'Alessandro e seduto su una panchina fumo una sigaretta, la prima dopo due anni. Stupenda sensazione.
Aveva settantadue anni. Non ci parlavamo da dieci anni, da quando sono partito per Londra.
Che storia patetica.
L’ennesimo ritornello di un figlio che non parla con il padre: un archetipo quasi biblico.
Mi specchio dentro una vetrina per controllare di essere presentabile.
Non ho tutta questa voglia di andare “all’ultimo saluto”, ci sarò soltanto io: figlio unico. Il primo e l’ultimo.
Sarebbe contento che mi sono messo la cravatta e indosso un bel vestito, le scarpe nere e lucide.

Mi aspetto che qualcuno mi chieda: “Vuole dire due parole?”

“E allora papà… come sono stati questi ultimi anni?”
“Ne è valsa la pena papà?”
“Quante distrazioni e futili passioni, come le definivi tu, ti sei fatto scivolare accanto?”
“Generazione d’invincibili. Così mi dicevi ogni tanto, tu e quelli dei tempi tuoi.”
“Non è colpa di nessuno, forse un po’ più tua perché hai potuto scegliere certe parole per primo.”
“Capisco la rabbia di scoprire che è tutto un trucco.”
“Forza di volontà ne avevi. Dopo i trent’anni a me sembrava più un passatempo forzato perché non avresti saputo cos’altro fare.”
“Ti è mancato il coraggio. Capita.”
“La cosa più brutta è specchiarsi e vedere che un po’ ti somiglio, questo ti è riuscito.”
“Beh… saluta mamma, questo si.”

Meglio un prete qualunque.


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