lunedì 11 gennaio 2016

Belander Lugos

La bottega del becchino sta sul fondo del vicolo senza uscita che s’incontra appena girato l’angolo del campo santo, in direzione della campagna.
Il vicolo è poco più che una sconnessa mulattiera di terra secca, polverosa d’estate e fangosa  d’inverno, largo poco più di dieci passi ha sulla destra la cinta del cimitero, e sulla sinistra un filare di vecchie baracche tutte abbandonate e buttate le une sulle altre come ubriachi che ha colto il sonno. Il portone della bottega è largo quanto il vicolo, e sembra veramente che quella sia l’entrata solo per i morti; nero di sporcizia fino alle maniglie e smunto di legno vecchio più in alto. Si apre del tutto solo quando esce il carro per l’ultimo viaggio, nel mezzo ci han ricavato una porticina che ci si deve curvare come davanti all’altare per passarci attraverso.
Il Becchino a quel tempo era Belander Lugos, proveniente da una famiglia di becchini che di morto in morto era nel villaggio da più di trenta inverni. Belander viveva solo, dormiva su assi di legno sospese con delle corde a mezz’aria.
A chi gli domandava come mai avesse scelto una sistemazione tanto strana, lui rispondeva così: “Faccio un lavoro che mi avvicina a Dio, ma non posso allontanarmi nemmeno troppo dalla terra”.


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