La
bottega del becchino sta sul fondo del vicolo senza uscita che s’incontra
appena girato l’angolo del campo santo, in direzione della campagna.
Il
vicolo è poco più che una sconnessa mulattiera di terra secca, polverosa
d’estate e fangosa d’inverno, largo poco
più di dieci passi ha sulla destra la cinta del cimitero, e sulla sinistra un
filare di vecchie baracche tutte abbandonate e buttate le une sulle altre come
ubriachi che ha colto il sonno. Il portone della bottega è largo quanto il
vicolo, e sembra veramente che quella sia l’entrata solo per i morti; nero di
sporcizia fino alle maniglie e smunto di legno vecchio più in alto. Si apre del
tutto solo quando esce il carro per l’ultimo viaggio, nel mezzo ci han ricavato
una porticina che ci si deve curvare come davanti all’altare per passarci
attraverso.
Il
Becchino a quel tempo era Belander Lugos, proveniente da una famiglia di
becchini che di morto in morto era nel villaggio da più di trenta inverni. Belander
viveva solo, dormiva su assi di legno sospese con delle corde a mezz’aria.
A chi
gli domandava come mai avesse scelto una sistemazione tanto strana, lui
rispondeva così: “Faccio un lavoro che mi avvicina a Dio, ma non posso allontanarmi
nemmeno troppo dalla terra”.
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