Non sopportando i giorni di pioggia restava
chiuso in casa con le tapparelle abbassate e i tappi nelle orecchie per non
sentire quell’inutile ticchettio.
Teneva un diario per i giorni di pioggia.
Il diario era diviso in sezioni: piove, piove
forte, piove troppo.
Aveva scelto anche un titolo per il diario: Se
piove sono giornate dispari. Il dispari era per lui sinonimo di stonature
esistenziali, “stonature esistenziali” era un termine creato sempre da lui. Un
piccolo inciso filosofico per etichettare con dovuta precisione il fastidio e
la sensazione di claustrofobia dello spirito che anche poche gocce scatenavano
in lui.
Cresceva al ritmo dell’acquazzone del momento
la sua irritabilità, la quale si manifestava in comportamenti sempre volti alla
mortificazione del proprio fisico. Piccole e prolungate torture inflitte con le
unghie del pollice sulla pelle sottile del dito indice fino a sanguinamento.
Grattare con forza il cuoio capelluto. Irritare la fronte con lo sfregamento
ripetuto della punta di tutte le dita.
Sazio di questi esercizi, prendeva delle pause
raccogliendosi in pensieri cupi. Immaginando la propria morte e la relativa
scoperta del cadavere da parte di sconosciuti.
Provava sempre sollievo nel constatare che
sarebbe stato trovato morto stecchito con i tappi nelle orecchie, lo
considerava un vezzo eccentrico degno di
nota. I tappi erano di gommapiuma gialla.
Non poca soddisfazione provava nel leggere a
voce molto alta dei passi del diario, abbruttimenti sintattici di temporali
passati.
Li declamava con slancio fisico, sempre tenendo
il diario in una mano e coreografando lo spazio con l’altra.
Uno dei suoi temporali preferiti era una
giornata dispari del Settembre 2013 – piove troppo.
Punta
di martello addentro nelle mie carni molli e pensierose, di molteplici anni
accorgo lo stordimento.
Ratto
bianco che fugge tra le mie gambe, osservo, non trattengo.
Non
oso parlare di quella parola, che cade senza che io mi volga.
Urla,
urla, urla il soffio vorace e profetico del desiderio che sai, tu sai, il
desiderio?
No.
Lievita
e sprofonda dentro sempre dentro alle madri di spine, avvolte, spirate,
piangenti, grottesche
come
voci di cori.
Sottovesti
accorrono su pavimenti di lumache e di sete e di lingue pendule e incredule.
Giorni così dispari che spesso si dimenticava
di scoprire se fuori il temporale fosse cessato.
Aspettava, tappato e solo, che qualcuno si
ricordasse di lui.
Nessun commento:
Posta un commento