Le persiane della finestra della camera di
Carol sono state chiuse per tutta la mattina.
Chon ha fatto colazione in giardino, la solita
colazione: tè, marmellata di fragole su una fetta di pane tostato, senza burro,
e una spremuta.
Dal tavolo della colazione, a intervalli
regolari, alzava lo sguardo a controllare la finestra.
Stare da solo in casa non gli piaceva, voleva
stare da solo con Carol in giro, gli mancava quel valzer di spostamenti tra una
stanza e l’altra, quell’incrociarsi nei corridoi e accarezzarsi con un
“buongiorno” educato e formale che era il loro codice per dire: sono qui anche
oggi.
All’ora di pranzo è arrivato un uomo che non
aveva mai visto prima. L’uomo era senza dubbio un medico, aveva la valigetta da
medico, e la governante oltre a chiamarlo dottore l’ha scortato per le scale
fino alla stanza di Carol. Il medico si è fermato per quasi un’ora.
Carol non è scesa nemmeno per la cena.
Chon è passato davanti alla porta della sua
camera circa una decina di volte, e almeno in sette occasioni ha dovuto
trattenersi dal bussare.
Ha passato il resto della serata seduto sulla
poltrona rossa di Carol senza fare nulla a parte fumare sigarette.
In questo stato di catatonia indotto la sua
mente ha vagato sul significato fisico della parola assenza, senza approdare a
nessuna teoria abbastanza illuminata e rivoluzionaria capace di far lievitare
il suo umore.
La lista delle cose non dette a Carol era
diventata una lunga preghiera di sensi di colpa con il ticchettio del tempo che
scorre a fare da controcanto.
Nessun commento:
Posta un commento